WALTER BONATTI FOTOGRAFO - La mostra “Fotografie dai grandi spazi” di Walter Bonatti è in corso al Palazzo della Ragione di Milano: organizzatori, il Comune, l'agenzia Contrasto, l'editore Giunti, la locale Camera di Commercio: questa mostra rientra in un ciclo di esposizioni che riportano in attività il Palazzo della Ragione anche come spazio espositivo (ciclo inaugurato con Sebastiano Salgado, Genesi) ed è la prima che raccoglie una retrospettiva così ampia del celebre alpinista ed esploratore.
UN WORKSHOP TRA PASSATO E FUTURO - Anche per sottolineare L'importanza di questo evento, e aumentare l'attenzione su di esso, la stessa Camera di Commercio ha organizzato nei giorni scorsi un workshop a cui abbiamo partecipato anche noi, per parlare di Bonatti fotografo e dello stato dell'industria fotografica in Italia. Titolo: "Walter Bonatti Fotografo: l'immagine dal racconto dell'impresa all'impresa”. Con ospiti di rilievo: per la prima parte su Walter Bonatti alpinista e fotografo, Angelo Ponta, curatore della mostra insieme ad Alessandra Mauro, Tommaso Vicario, nipote di Walter Bonatti, Roberto Koch, presidente di Contrasto (che scherzosamente ha definito Ponta “il primo dei bonattologi”) e Alberto Rossetti, direttore di Civita, società di servizi e orgnanizzazione di eventi (era stato preparato anche un segnaposto a nome Walter Bonatti..). E il presidente di Ascofoto (che riunisce professionisti e negozianti nel settore fotografico) Dario Bossi Migliavacca, coordinatore della prima tavola rotonda, dal titolo “Walter Bonatti alpinista e fotografo”.
Per la seconda parte, dal titolo “La fotografia, tecnica e linguaggio in continua evoluzione”, ha coordinato Roberto Koch, un dibattito con Roberto Mutti di Repubblica, Giovanni Gastel, noto fotografo soprattutto di moda, ed Enrico Deluchi, nuovo presidente di Canon Italia. Raccogliamo alcuni spunti dal dibattito.
IL BONATTI “PRIVATO” - Per quanto riguarda Bonatti, è stata sopratutto la preziosa testimonianza di Tommaso Vicario che ha raccontato del suo carattere, schivo e sociale, armonico con la natura e gioioso, come si poteva perdere tra le dune nell'ultimo viaggio in Africa a 81 anni compiuti, e come gioiva di quei paesaggi che non erano più le montagne, ma i grandi spazi che poteva godere senza preoccupazioni di incidenti o di compagni di cordata di cui potesse essere ritenuto responsabile, come era accaduto per il K2 e il per il Pilone Centrale, sul Monte Bianco.
Del suo ascoltare tutti, del suo essere curioso nelle conversazioni intorno al caminetto, e al tempo stesso deciso nell'affrontare un pitone che presso una tribù pigmea minacciava una famiglia. Oppure alcuni estranei che si erano avvicinati a casa sua.
Ancora: Walter Bonatti aveva abitato anche a Milano, e qui, in casa sua, non aveva esposto le proprie fotografie. Non un megalomane, ma neanche un imboscato (se non nel senso letterale del termine...). Ci teneva a raccontare i fatti, documentarli, come li aveva vissuti, anche per sgombrare il campo da male interpretazioni, come nei casi già citati degli incidenti in montagna. Da sempre conservava e descriveva in appunti, prima per sé e poi anche su commissione per lavoro, nel periodo della collaborazione con “Epoca”, le sue vicende.
DOVERE E PIACERE - Walter Bonatti, ricorda Angelo Ponta, fotografava all'inizio per esigenza tecnico sportiva, per esplorare il percorso, per documentare la realtà delle sue imprese, in situazioni estreme in cui la memoria poteva tradire. E ci furono momenti in cui dovette difendere la verità dei fatti, come nel caso della spedizione sul K2. Ma poi Bonatti, autodidatta anche come fotografo, costruisce il proprio personaggio come protagonista delle immagini e prende gusto alla composizione del paesaggio, che si nota molto curata.
La gioia dell'esploratore traspare nelle sue fotografie, dove ci tiene a entrare, a essere soggetto protagonista, per documentare che davvero è accaduto, ma anche per sentirsi parte del mondo che andava a conoscere. Questo rapporto spontaneo, diretto e immediato con la natura accomuna peraltro, ricorda Roberto Koch, Boatti e Salgado.
Walter Bonatti ha avuto il proprio punto di vista sull'ambiente che ha raccontato, e noi oggi rivediamo quei luoghi secondo la sua chiave di lettura. Come poi ha invitato tutti a fare Giovanni Gastel: “ognuno ha un proprio punto di vista leggermente distonico dagli altri, troviamo questa nostra differenza”.
NON SOLO FOTOGRAFIE - Quelle di Bonatti sono fotografie curate nella composizione, immagini potenti, belle, evocative: la mostra ne raccoglie una sintesi, comunque molto ampia, che può essere percorsa rapidamente in una mezz'ora o gustata per due ore, leggendo le didascalie delle foto, ricavate dagli scritti dell'autore, fatti direttamente per l'immagine o ricavati da altri suoi testi; ci sono i filmati con la voce di Bonatti che già si sente prima di entrare nella prima sala, l'anticamera della mostra, in cui sono esposti anche alcuni dei suoi oggetti, come la fotocamera Condoretta che usò per alcuni anni o la macchina per scrivere con cui lavorò fino alla fine. Sempre poco, se si considera, come ricordato da Angelo Ponta, che di Bonatti c'è tutto, l'archivio è completo, e che nella sua attività di conferenziere cominciò presentando 70 fotografie, all'inizio degli anni Cinquanta, e alla fine, nel 2009 o 2010, ne presentava quasi 400, con tre ore e mezza di proiezione. L'archivio fotografico di Walter Bonatti conta 60-70 mila diapositive per il periodo dell'alpinismo, e 10-15 mila per quello delle esplorazioni.
COME STA LA FOTOGRAFIA OGGI - Dalla seconda parte del Workshop, quello dedicato all'evoluzione del linguaggio fotografico, raccogliamo due spunti. Uno è quello di Giovanni Gastel, che ha sottolineato come l'elettronica abbia dato una seconda vita alla fotografia: tutti oggi fotografano, si caricano 3.5 miliardi di foto al giorno; la fotografia diventa un linguaggio per tutti, in cui si può “parlare” a vari livelli ed è importante, come accennato, trovare la propria cifra stilistica, il proprio linguaggio. Anche se si scatta con un telefonino. E trovano spazio anche i nostalgici della pellicola: esistono ancora le pellicole e viene rilanciata anche la fotografia chimica, per esempio il progetto Impossible per la Polaroid (anche se Gastel da solo ne consuma, di Polaroid in un anno, “come tutta la Svizzera”, ha raccontato. Ancora: le mostre fotografiche sono le più seguite dai giovani, che le preferiscono a quelle di altri generi artistici: la stessa mostra di Bonatti ha avuto un buon riscontro nei primi giorni di esposizione.
UNA SFIDA DA COGLIERE - Enrico Deluchi, da quest'anno Presidente e Amministratore Delegato di Canon Italia, ha ricordato come nel mondo di Internet (dal quale proviene) chi ha demonizzato il cambiamento è stato tagliato fuori; e anche la fotografia non deve temere il nuovo, per esempio il fatto che tutti abbiano il cellulare e si vendano meno fotocamere di una volta (anche se le foto sono molte di più).
Sono tempi difficili in Italia (lo ricordavano i dati di uno studio della Camera di Commercio presentati al convegno), bisogna far convergere le forze di tutti coloro che lavorano attorno all'immagine, farne il centro di nuove opportunità di profitto, come è il caso della sua azienda: oltre alla fotografia del singolo, professionista o amatore, ci sono le applicazioni nell'ambito medicale e spaziale, per fare due esempi. E ha lanciato un'idea per Expo 2015: proporre soprattutto ai visitatori stranieri (se ne prevede un afflusso fino a 6 milioni di persone) un tour fotografico a Milano e in Lombardia, fornendo prima fotocamere e obiettivi (Canon, in questo caso), ma poi anche un completo fotolibro con una selezione almeno delle foto scattate, da portarsi a casa.
FONTE: Fotozona - Di Giulio Mandara