Bisogna tornare alla fine degli anni ’70 per collocare il progetto da cui nascono le 34 fotografie protagoniste di “America”. Wenders rimane affascinato dal romanzo “Red Harvest”, scritto da Dashiell Hammett e ambientato a Poisonville, nome di fantasia che l’autore stesso rivela in più riprese essere in realtà Butte, nel Montana.
Lì, nel 1978, sceglie di soggiornare — macchina fotografica alla mano — il regista tedesco, rapito dalla metamorfosi che trasforma quella che nel 1900 era la più grande città americana a ovest del Mississippi in una depressa e deprimente ghost town. Butte fa da sfondo a cinque delle foto esposte, un totale di sette sono scattate in Montana, mentre il resto del lavoro — con un’unica eccezione — è un viaggio a zig-zag nel grande ovest americano. Non a caso “Written in the West” (Scritto nel West), dei primi anni ’80, è la serie iniziale di un ambizioso progetto fotografico dal titolo “Bilder von der Oberflache der Erde” (Immagini dalla superficie della Terra) che dura un ventennio e porta Wenders a fotografare in tutto il mondo, dall’Australia al Giappone.
Il primo “capitolo” americano — testimoniato dalle foto in mostra, scattate tra Arizona e California, in Colorado come in Texas — gli serve anche da ispirazione e ricerca sul campo per il suo lavoro dietro la macchina da presa.
La foto “Lounge Painting #1 — Gila Bend, Arizona”, scattata nel 1983, vede appeso sopra un vecchio frigorifero rosso della Coca-Cola un dipinto di una sterminata prateria del West che Wenders “sogna di poter utilizzare per la scena di apertura di un suo film”.
Un anno dopo quel film esce nelle sale: “Paris, Texas” — road movie in bianco&nero con una giovanissima e mai così affascinante Nastassja Kinski — riprende proprio quel tipo di paesaggi e di atmosfere familiari anche nell’esposizione di Villa Panza.
A completare la mostra, come detto, diversi omaggi fotografici alla pittura di Edward Hopper — dal bancone di “Nighthawks” alla splendida “Woman in the Window, Los Angeles, CA” che vede gli stranianti grattacieli di downtown L.A. ergersi sullo sfondo di una classica immagine hopperiana (una donna che fuma assorta alla finestra) — e un corpo di cinque fotografie che rappresentano l’eccezione di cui sopra e che chiudono il percorso.
Sono tutte scattate l’8 novembre 2011 a Ground Zero, nella New York ferita dall’attacco alle Torri Gemelle, lontano dai grandi spazi dell’ovest Usa. Orrore e lirismo si mescolano nelle gigantografie esposte e nel testo che le accompagna, in cui Wenders riflette tanto sull’arte quanto sul destino umano. Da non perdere.
FONTE: GQ Italia